lunedì 5 marzo 2018

La candela

Era fine febbraio, faceva molto freddo e lei si sentiva stanca. Ma dentro quel piccolo baretto l'atmosfera era intima e calda. E i due bicchieri, pieni di prosecco di Valdobbiadene, riflettevano le luci del tardo tramonto che appena filtravano nella stretta via fuori dalla finestra. Si sentiva a suo agio col suo amico, ultimamente si vedevano molto di rado, ma lei lo avvertiva vicino anche nei lunghi periodi in cui stavano lontani senza incontrarsi. Quella sera avevano poco tempo per un breve momento insieme e lei non voleva pesargli con le sue solite storie di vita sempre difficile. Già, perchè pare che il destino si divertiva a metterla costantemente alla prova. Ma lui come sempre avvertì il suo disagio interno e cercò di rassicurarla. Amicizia rara la sua, preziosa, da conservare in uno scrigno etereo, fatto di fili sottili di profondo affetto... "Ti manca l'energia primordiale" lo sentì dire, "Sei come una candela che si sta spegnendo, soffocata da pesi che ci si accumulano sopra... La sottile fiammella che sta cedendo, ha bisogno di essere riaccesa con delicatezza e dolcezza, per non sparire del tutto"... Lei lo guardò colpita. Lui riusciva sempre a guardarle dentro e sintonizzarsi sulle onde che lei trasmetteva nello spazio, sia che vibravano di gioia o di dolore. Ecco perchè la sua amicizia per lei era unica. Glielo diceva spesso, ma non era sicura di riuscire ad esprimere tutta quella profonda gratitudine che provava... Non parlò... Alzò solo il bicchiere per un brindisi che lei sentiva particolare e volle godersi i pochi attimi che li rimanevano per scambiarsi ancora qualche parola di calore reciproco. Poi si strinsero la mano, si promisero di vedersi fra qualche tempo e ognuno andò nella propria direzione. Lei sentiva molto meno il freddo e la stanchezza. Era già buio fuori, ma una piccola candela, che lui aveva riacceso con le sue parole, tentava di riacquistare timindamente la propria fiammella languente, per illuminarle la via...

domenica 19 novembre 2017

Lo scrigno

La donna, dopo una giornata pesante, tolse la collana che aveva indossato la mattina e aprì il portagioie per riporla dentro. La appese al gancino e volle chiudere l'antina decorata, ma nel farlo si accorse che un piccolo ciondolino era caduto. Lo raccolse per metterlo al suo posto, ma ebbe una strana sensazione, come se il ciondolino le scaldasse la mano. Lo guardò e le sembrò che avesse preso le sembianze del viso di chi gliel'aveva regalato per un suo compleanno. Una persona tanto importante nella sua vita, una persona per cui provava un immenso affetto. Guardò ancora il piccolo oggetto in argento e rivisse tutti i momenti che aveva passato con quella persona, momenti intensi in ogni senso, significativi, profondi. E siccome adesso vivevano in diverse città e si vedevano di rado, lei parlò al ciondolino, era sicura che le sue parole arrivavano a destinazione e la persona che le aveva donato quel gioiellino la sentiva e le rispondeva. Sorrise, accarezzò il piccolo fiocco, questa era la forma del ciondolino, e lo ripose nello scrigno, grata al suo grande amico perchè esisteva nella sua vita. Ma non chiuse l'antina, vide una collannina che le ricordò una recita della sua opera preferita, La Gioconda. Quella sera aveva cantato quel ruolo che adorava e aveva dato tutta se stessa, il giorno dopo una signora sconosciuta venne nel suo albergo, la invitò a pranzo e le regalò quella collana. Al suo stupore, la signora le disse: "La prego, la prenda, gliela regalo con il mio cuore, perchè lei ieri sera mi ha fatto il dono della sua voce, facendomi provare delle emozioni tanto forti". Si ricordò che a quelle parole pianse e pensò che avrebbe voluto che quel ruolo l'avesse sentito anche sua madre, ma sua madre morì prima. Poi vide la collana di sua madre, una collana di cristallo nero di Boemia, che sua madre volle darle per indossarla quando cantava e la donna spesso lo faceva, era come averla in pubblico vicino a se. Dopo l'occhio le cade sulla malachite, collana, bracciale ed orecchini, che suo marito le regalò tornando dalla Namibia e quella pietra le raccontò dell'immenso cielo stellato dell'Africa sopra lo sterminato deserto. Vicino vide quel bellissimo annello in oro antico filigrana e subito ricordò l'orafo artista di Tel Aviv nella cui bottega era entrata a sceglersi un anello. Ne aveva provato due e l'orafo le disse: "Signora, questa filigrana le sta decisamente meglio. compri quella!" Nel pagare si accorse che costava la metà dell'altro anello che aveva misurato. Stupita, lo disse all'orafo. Lui le sorrise e le rispose: "Signora, io sono un'artista, ho visto che la filigrana a lei stava meglio e non ho pensato al prezzo!" Lì stava anche un'altro gioiello che aveva comprato in Israele, a Cesarea, era vecchio 4000 anni e le sussurava la storia dell'umanità. Poi c'erano tutti i gioielli di vetro di Murano, acquistati nella sua adorata Venezia che portavano l'ispirazione unica dei maestri vetrai. Guardò i suoi gioielli uno ad uno e si accorse che tutti erano legati a qualcosa - a delle persone, a dei luoghi, a delle recite, a degli avvenimenti. Tutti le raccontavano dei momenti particolari della sua vita. Quella sera rivisse tanti istanti. Provò dei sentimenti intensi e misti - malinconia, tenerezza, tristezza, gioia, amicizia, amore, passione, sentì musica, canto, voci, vide sguardi, volti, paesì, ebbe davanti il film della sua intera vita. Lì, in quel piccolo scrigno dove erano i suoi gioielli. Alla fine si decise di chiudere le antine e spegnendo la luce, pensò che d'ora in poi non avrebbe più indossato un semplice gioiello, ma scegliendone qualcuno per la sua giornata, l'avrebbe trascorsa in compagnia di chi era legato a quel gioiello, oppure nel luogo o nel momento che esso le ricordava....

lunedì 12 dicembre 2016

Nebbia

A volte è nebbia anche nell'anima. Vorresti lasciar entrare solo il sole, ma lei si insidia dentro e a volte cala. Cala nell'anima.... Così, all'improvviso, come è tipico della nebbia.... Dopo una giornata di sole, dopo un raggio di speranza, dopo un ritorno di luce, dopo la fragile gioia di un sorriso sognato e ritrovato... A volte cala nell'anima... e la segna... la nebbia...

domenica 27 novembre 2016

Il Fantasma

La bora non la smetteva dalla mattina. Le folate si mescolavano col nevischio e chi poteva se ne stava rannicchiato in casa vicino alla stufa. In alcuni rioni l’elettricità era interrotta, i fili si erano strappati per la violenza del vento e penzolavano minacciosi vicino ai marciapiedi. In una casa di uno di questi rioni, la bambina si era rifugiata nel seminterrato dai nonni e cercava di nascondere la paura. Ma la riscaldava la fiammella della candela, accesa per far luce, e lo scoppiettio della legna e del carbone nel piccolo caminetto. Si sentiva il profumo di una pagnotta, fatta in casa dal nonno, ex mugnaio, che faceva le scorte di generi alimentari di prima necessità, e quando lo prendevano in giro per questa sua antica abitudine, lui diceva che era sempre meglio averli nella dispensa perché “Non si sa mai”. In sere come questa gli veniva di lasciare tutti affamati per le prese in giro, ma il suo grande cuore, buono come il pane che faceva, dimenticava le piccole ironie, si rimboccava le maniche e preparava il pane e una minestra fumante che sfidavano la bora e scaldavano le anime con le loro semplici fragranze. La bambina aveva fame, ma c’era da aspettare ancora un po’, la cottura era lenta. Allora corse vicino al nonno, lo guardò con i suoi occhi neri profondi come la notte e con la vocina argentea e squillante, implorò: “Nonno, nonno, raccontami una storia!” Il nonno la prese sulle ginocchia, accarezzò i riccioli ribelli e cominciò: “Nel piccolo paesino dove era nata la madre di tua nonna, c’era una casa vecchia e abbandonata. Agli abitanti faceva paura perché si diceva che là dentro abitava un fantasma. Effettivamente quando la bora si metteva a soffiare come stasera, dalla casa usciva fuori un lamento che straziava i cuori - “Auuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii” e poi ancora “Aiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii” e poi ancora e ancora. E tutti giravano alla larga ed evitavano di passare sul marciapiede dove stava la casa. E questo anche quando non c’era vento. Così la casa stava andando a pezzi. Nessuno osava ad avvicinarla e tanto meno ad avventurarsi dentro. Ma un giorno nel paesino arrivò il nuovo maestro e chiese di prendere in affitto proprio questa casa. Cercarono di dissuaderlo, ma lui insisté e alla fine la affittarono a lui per pochi spiccioli. Andò ad abitare lì, fece dei lavori, la abbellì e la casa sembrò rinata. E una sera la bora soffiò. Il maestro stava leggendo un libro quando sentì il lamento. Non fece caso. Ma poi il lamento riprese. E poi ancora e ancora. Il maestro decise di scoprire il mistero. Allora non c’era ancora l’elettricità e si usavano le lampade a gas. Il maestro prese la lampada e uscì nel corridoio. Qualcuno o qualcosa soffiò e spense la lampada. Il maestro a fatica tornò nel soggiorno e accese con un fiammifero la stoppa. Uscì di nuovo e un soffio violento spense ancora la fiammella. Il maestro non perse il sangue freddo, tornò, accese di nuovo la lampada, ma questa volta prima di uscire di nuovo, coprì la lampada con un panno trasparente. Il soffio violento si ripeté, ma trovando la lampada protetta, non riuscì a spegnerla. Nel corridoio il lamento si sentiva molto forte ed era accompagnato da una sorta di soffio gelido. Il maestro stette ad ascoltare ed individuò che il lamento proveniva forse dalla soffitta. S’incamminò verso la scala a pioli che portava alla soffitta. Più si avvicinava, più il lamento e il soffio diventavano forti. Salì la scala e aprì la porta della soffitta. Un alito violento lo investì, portò via il panno dalla lampada e la spense. Con molta fatica per il buio quasi assoluto e questa volta con un po’ di paura, il maestro tornò in soggiorno, riaccese la lampada e decise di non arrendersi. Trovò un altro panno, lo legò con un elastico e tornò nella soffitta. Lì il lamento si fece impressionante. Il soffio aumentava man mano il maestro cercava di muoversi nella soffitta. Seguiva il suono. A un certo punto inciampò in qualcosa che si mosse. Il lamento all’improvviso s’interruppe. Il maestro avvicinò la lampada e vide una vecchia giara che aveva il fondo rotto. Sentì un freddo intenso che proveniva dal muro, diresse la luce in quella direzione e vide un buco proprio sotto le tegole. Guardò la giara, la riavvicinò al buco e il lamento riprese più forte di prima. Ecco chi era il fantasma – una vecchia giara rotta, appoggiata a un buco nel muro, che praticamente diventava una tromba che suonava per l’aria spinta dal vento che usciva con un sibilo dalla gola stretta della giara. Il maestro dapprima rise, ma poi diventò un po’ triste. Aveva messo fine a una leggenda, a una favola che si tramandava fra la gente e questo gli faceva venire un po’ di malinconia”. Il nonno abbracciò la bambina che pendeva dalle sue labbra, la mise sul divano e andò a togliere il pane dal forno a legna. Nei suoi occhi c’era un po’ di malinconia. Fuori la bora imperversava più di prima e cercava un buco nel muro di una soffitta abbandonata, con una giara rotta appoggiatavi, per poter soffiare attraverso la sua gola stretta.

giovedì 24 novembre 2016

La Casa Azzurra

Noi tutti la chiamavamo La Casa Azzurra. Era la casa di famiglia della madre di mia cugina Elly. I genitori di Elly, zii di mio padre, vivevano lì. Era una casa legata a tutti noi. Io la adoravo quella casa. Grande, piena di storia, sembrava che ogni sua stanza raccontasse una storia diversa. Quante giornate, passate con Elly a giocare e ad inventare delle recite diverse. Gia, questo era il nostro passatempo preferito - inventare delle storie, vestirci con qualche vestito trovato nel guardaroba di sua madre e presentarci nel grande salone dove i nostri genitori invece amavano giocare a carte e recitare loro una favola del Re e della Regina, inventata tutta da noi. La sera poi che mio padre mi dimenticò li! Mia madre si spaventò, non vedendomi tornare con mio padre, ma noi con Elly facemmo delle feste nella sua stanza da letto, perchè potevamo continuare indisturbate a mettere in scena le nostre recite inventate! Poi la casa passò a Elly e continuò ad essere il punto di riferimento per tutta la nostra numerosa famiglia, ma anche per i nostri amici. Le figlie di Elly nacquero e crebbero lì, la casa continuò ad essere il nostro centro, ogni sassolino nel cortile vi può raccontare qualche nostro stato d'animo, ogni albero può riprodurre il suono delle nostre risate quando il vento muove le foglie nei suoi rami.... Ma nella vita a volte arrivano anche delle difficoltà, così un giorno Elly decidette di dividere la casa e vendere la dependance. Era un piccolo colpo per tutti noi, ma finchè era solo la dependance... Poi un giorno io dissi che avrei voluto comprare una piccola casa a Sliven solo per me... Dissi questo una sera nella Casa Azzurra. Un anno dopo Elly mi chiamò e mi disse che la dependance era in vendita di nuovo e mi pregò di comprarla io. Non pensai due volte e, acquistando la dependance, feci tornare la Casa Azzura di nuovo intera nella nostra famiglia. Ma le difficoltà non si fermarono... Fra qualche tempo Elly mi chiamò e disse di essere costretta a vendere la sua parte, ma aveva trovato un acquirente importante, un'organizzazione umanitaria inglese, che però voleva tutta la casa, compresa la dependance che era mia, altrimenti non avrebbe comprato. Mi chiese di vendere la mia parte per poter vendere anche lei la sua, che era il principale corpo della casa. Mi disse che teneva a vendere a questa organizzazione, perchè avrebbero fatto un centro diurno di aggregazione per persone affette da lievi problemi di carattere psicologico e psichiatrico. Pensai molto, mi faceva male vendere, era La Casa Azzurra, la casa dei giochi della nostra infanzia, la casa delle favole che ci racontavamo le calde sere d'estate, la casa dei nostri fantasmi durante le fredde notti d'inverno col bora che soffiava minaccioso fuori, la casa delle nostre recite, delle nostre regine, la casa dei nostri sogni... Ma capivo il bisogno di Elly. E acconsentìi. La Casa Azzurra fu venduta... Tutti abbiamo pianto un po'... se ne andava un pezzo dei nostri cuori. Ma... La Casa Azzurra evidentemente voleva stare con noi... In un modo tutto suo. Un giorno mia sorella che ha un disturbo bipolare, rimasta sola dopo la morte di nostro padre, ebbe bisogno di usufruire del centro diurno, istituito dagli acquirenti inglesi proprio nella Casa Azzurra. E La Casa Azzurra la accolse di nuovo con braccia aperte, riprendendo a raccontare a lei le nostre favole, interrotte il giorno della la vendita. Sono tre anni che mia sorella frequenta il centro diurno della Casa Azzurra e adesso è lì che ha il suo appoggio ed i suoi amici, e in quelle stanze, che conosceva da bambina, ha ritrovato il suo sorriso. Già, perchè La Casa Azzurra così è tornata a far parte della nostra famiglia, non può stare lontana da noi, no, e come fa, conosce tutte le nostre favole, le sue stanze devono condividerle con qualcuno di noi...

Scrivere

Mi hanno suggerito di riprendere il mio blog. Effettivamente chi me l'ha suggerito, un amico a me particolarmente caro, ha ragione. Dopo il suo suggerimento mi è tornata la voglia di scrivere. Presto qualche piccolo racconto che potrebbe piacervi...